“Di solo prestigio non si campa”, verità lapalissiana chiara a tutti. Tranne che a blogger e a giornalisti sottopagati (sempre ammesso che il prestigio ci sia). Il sito dell’LSDI (Libertà di Stampa e Informazione) pubblica un paio di interessanti articoli sull’argomento: di qua chi, sebbene iscritto all’OdG, accetta di lavorare quasi gratis, di là chi, pur non iscritto, non accetta più solo un “grazie”. Ma una differenza c’è.

Consiglio a tutti gli interessati all’attualità e ai problemi del giornalismo di visitare il sito dell’Lsdi e di iscriversi alla relativa newsletter, sempre foriera di spunti di riflessione.
Quella odierna, ad esempio, riporta due articoli che, a mio avviso, vanno letti trasversalmente, uno in relazione all’altro.
Il primo parla del rumore sollevato, anche al recente Festival di Perugia, dalla lettera inviata al presidente dell’OdG Enzo Jacopino dal “giornalista digitale” Marco Renzi, il quale si chiede e gli chiede se, allo stato delle cose, oggi abbia ancora un senso lo scontro frontale con gli editori, caldeggiato proprio dal capo dell’Ordine, a proposito dei compensi ai collaboratori. E si domanda se non si debba, ora che i buoi sono irrimediabilmente scappati dalla stalla dopo il colpevole ed annoso disinteresse per l’argomento da parte di tutte le istituzioni giornalistiche, spostare il tiro dalla semplice e tardiva “questione economica” a una lettura delle cose capace di far comprendere più profondamente le dinamiche evolutive del giornalismo e della relativa economia.
Gli fa sponda (casualmente?) un secondo interessante articolo a proposito della crescente insofferenza di molti blogger, soprattutto francesi, verso la cosiddetta “economia della gratitudine”: cioè l’idea che la ricompensa da offrire a chi, come loro, fa informazione tramite blog “associati” alle grandi testate (e da esse resi quindi “visibili”, “visitati”, pertanto “famosi”) siano appunto la sola visibilità e la fama. In pratica: è giusto che i giornali si arricchiscano con gli articoli di blogger pagati solo con un “grazie”?
Si tratta, con ogni evidenza, di due facce della stessa medaglia.
Da una parte il nodo dei giornalisti sottopagati o non pagati (i leggendari “5 euro a pezzo, spese incluse”), dall’altra quello di chi svolge una sorta di lavoro paragiornalistico a cui, come ricompensa, viene offerta solo una pelosa riconoscenza.
Già, perché in entrambe i casi è l’apparire la chiave di volta della questione. Di qua chi, iscritto a un ordine, e quindi almeno teorico detentore di una professionalità asseverata dal medesimo, accetta in eterno compensi risibili, anzi praticamente inesistenti, nel miraggio di un’assunzione e di un prestigio che non arriveranno mai. Di là chi, privo invece di una professionalità istituzionalmente asseverata, tenendo un blog svolge di fatto un lavoro di informazione (più o meno “controllato” dalla redazione della testata) e si ripaga, anzi finora ha ritenuto di essere ripagato, con la celebrità acquisita grazie all’opportunità di essere veicolato da un grande palcoscenico quali, appunto, le testate giornalistiche.
Qual è la differenza tra le due posizioni?
In apparenza, nessuna: si tratta sempre di persone che comunque accettano volontariamente (l’ho sempre detto, di scrivere e di fare il giornalista o il blogger non l’ha ordinato il dottore) di fare ciò che fanno e che, in definitiva, sono disposti ad ingoiare i bocconi amari della gratuità in cambio di un narcisisismo gabellato a volte come “passione” , a volte come “prestigio”.
Ma c’è un ma.
Che poi è quello detto sopra: mentre i blogger sono una categoria di fatto, non formalizzata né al momento formalizzabile, i giornalisti sono (almeno in Italia, il paese che ci interessa) una categoria istituzionale, con un Ordine e norme specifiche che ne regolano l’attività. Ne consegue, a mio parere che:
a) il profilo e la natura del blogging dovrebbero essere circoscritte per legge, onde poter in ogni momento stabilire chi, via blog, fa solo un legittimo esercizio del suo diritto di opinione e chi, invece, fa informazione, cioè giornalismo (dovendosi in tal caso sottoporre a relativi diritti e doveri della professione).
b) Il problema dei “compensi” andrebbe esteso da un lato a tutti quelli, giornalisti-blogger compresi, che appartengono alla categoria, mentre dovrebbe essere declassato a un “non problema” (o a un problema di natura esclusivamente civilistica, non giuslavoristica) per chi tiene un blog fuori dalle regole della professione.
Il perenne navigare nell’ambiguità delle figure e delle problematiche non è invece altro che il metodo migliore affinché tanti pericolosi nodi non vengano mai sciolti.
O forse è proprio questo che, in definitiva, si vuole?