Giorni fa il presidente dell’OdG si è dimesso: “Impossibile ridare credibilità ai giornalisti italiani“, ha detto. Gli va dato atto che ci ha provato. Ma il muro di gomma correntizio e dilettantesco che ormai assedia l’Ordine è stato più forte di lui. E il senso di rassegnazione aumenta.

 

Giorni fa, un po’ a sorpresa (ma anche no), il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino si è dimesso, con tre mesi di anticipo rispetto alla fine del suo mandato.
Il suo discorso d’addio si può leggere per intero qui. “Considero concluso il mio compito“, ha detto ai colleghi.
Non so quali grandi manovre siano in corso per la nomina dell’immediato successore, annunciato a breve.
So invece che ce ne sono eccome per quello della prossima consiliatura, secondo il solito copione cencelliano basato sulla gestione degli equilibri politici e alla faccia di una professione in caduta libera.
Ciò che allarma però – sì, è paradossale dirlo – non è questo.
Iacopino, rieletto contro i pronostici tre anni fa con massimo scorno della grande alleanza a lui ideologicamente ostile, è un combattente. E anche un polemista. Per il poco, ma non pochissimo, che l’ho conosciuto e frequentato, l’ho sempre sostenuto per la sua trasversalità e il suo spirito battagliero. Si è scontrato con tutti: con l’arroganza del potere del sistema giornalistico correntiziamente organizzato; con l’ex premier Renzi, che gli disse in faccia come, se fosse dipeso da lui, l’Ordine avrebbe potuto chiudere il giorno dopo; con l’inerzia del sindacato e la sodale dello stesso, la Fieg; con il governo.
E’ però sempre riuscito a restare in sella, sparigliando con abilità e disinvoltura le carte avversarie.
Ho sognato di imporre una svolta nella vita e nella gestione dell’Ordine“, ha scritto nel discorso di commiato. “Dubito si possa ritornare alle spese allegre del passato o ad un impiego improprio, comunque mascherato, delle risorse. Il resto è buio pesto” e “l’equo compenso è morto“.
Ecco, appunto. L’allarme vero viene dall’ammissione, anzi dalla resa: “Il recupero della credibilità della categoria si è rivelato un vero fallimento. Prevalgono un gioco perverso e irresponsabile di opposte militanze, il settarismo, la superficialità, le urla, le volgarità. C’è chi si compiace di galleggiare tra gelati e patate“.
Gelati e patate. Parole pesanti.
Ma sembra di vederlo in azione il sottobosco del diporto professionale. Che non lavora, gioca. O meglio, fa un altro lavoro usando la scusa del giornalismo per camuffarsi. Eppure, ai capobastone delle correnti e alle truppe cammellate delle fazioni politiche va bene così.
Temo che presto non rimpiangeremo Iacopino, ma il giornalismo.