A voler proprio essere razionali, la risposta sarebbe semplice.
Ovvero: basterebbe ignorarli.
Ma la teoria è una cosa e la pratica un’altra.
E perciò ignorare l’irritazione, il vomito e l’ira che ti suscitano, nonchè il senso di distanza siderale che ogni giorno scopri su FB separarti dal 90% delle persone, è impossibile. Non mi riferisco agli estranei, ovviamente, ma a quelli che FB chiama amici e ove fatalmente si mescolano amici veri, conoscenti, colleghi, amici degli amici e gente con cui, sempre in teoria, dovresti avere almeno qualcosa in comune (sebbene spesso risulti evidente che sono loro che presumono o presumevano di avere qualcosa in comune con te, colpevole invece di averli “accettati” nella tua cerchia).
E non mi riferisco solo, intendiamoci, alla fetta maggioritaria dei cretini, categoria per forza di cose inguaribile, ma a quella di coloro di cui, senza che siano cretini, ti accorgi col tempo di non condividere una sola idea, un’opinione, una parola, un atteggiamento, un’attitudine, un interesse, una condizione.
Anche qui la soluzione sarebbe teoricamente semplice: fare un periodico ripulisti delle amicizie e tanti saluti.
Ma pure in questo caso l’esperienza pratica suggerisce il contrario: confrontandosi solo con gli affini, si rischia infatti di finire per creare un circuito autoreferenziale e quasi autistico in cui alla fine ci si dà ragione da soli, vanificando così la dialettica e l’esperimento di osservatorio sociale in cui FB consiste e che, aggiungo, dà un senso ultraludico al FB medesimo.
Ciò almeno da un punto di vista, come il mio, di utente-fusion, ovvero un po’ privato e un po’ professionale.
Così, a volte, mi viene voglia di riciclarmi come un falso me stesso: identico profilo generale, ma altro nome, altre foto, altre informazioni di base.
Per vedere, di nascosto, l’effetto che fa a me e al prossimo.