I freelance della commissione contratto pongono all’on. Lotti una sfilza di quesiti (a cui dubito risponderà) sull’inciucio Fnsi-Fieg in materia di lavoro autonomo. Ne mancano 2, però: cosa spinge la gente a scrivere anche gratis? E perchè gli è permesso?

In attesa che le polveri, incendiate con la surrettizia sottoscrizione dell’accordo sull’equo compenso e del nuovo ccnl, esplodano con l’auspicata potenza (è per sabato 5/7 l’assise di “rifondazione” del sindacato convocata a Roma da alcuni dissenzienti ed è per l’8/7 la manifestazione di protesta davanti alla sede del sindacato medesimo: sono graditi gli ortaggi), monta l’ira della cosiddetta “base”.
E salgono tanto le pressioni quanto le, per me vane, speranze che qualcosa possa ancora cambiare.
In questo contesto, tre rappresentanti dei freelance nella Commissione nazionale contratto Fnsi – Maurizio Bekar, Maria Giovanna Faiella e Laura Viggiano – scrivono al sottosegretario all’editoria, Luca Lotti, ponendogli una serie di più che ragionevoli interrogativi di natura tecnica e logica circa i criteri che lo hanno spinto ad avallare un modello di equo compenso che, più che una barzelletta, è un’offesa alla categoria.
Riporto sotto il testo della missiva, di cui ovviamente condivido i contenuti.
Ma nulla riesce a togliermi dalla testa un altro paio di ancora più inquietanti interrogativi.
E che non vanno rivolti a Lotti o a Siddi, ma a noi stessi.
Primo: in nome di cosa, pur di continuare a scrivere, c’è chi accetta compensi ridicoli, che quindi non sono compensi, autobbligandosi a fare altri lavori “veri” per vivere? E’ una cosa incomprensibile. Eppure tutti vorrebbero, giustamente, essere pagati 10, ma poi se gli offrono 1 lavorano lo stesso. Chi me lo spiega? E questi di che si lamentano?
Secondo: perchè una professione istituzionalizzata e oltretutto ordinistica permette che ciò accada? Chi dunque sono i veri nemici dei giornalisti di mestiere? O siamo diventati davvero, ormai, l’unica categoria al mondo composta in prevalenza da dilettanti, cioè di gente che fa altro, giocando al giornalista (così che l’iniquo compenso è comunque grasso che cola)?
In attesa di improbabili risposte, ecco il testo della lettera dei tre colleghi all’on. Lotti:

Signor Sottosegretario, On. Lotti,
abbiamo sostenuto con convinzione l’approvazione della legge sull’equo compenso per i giornalisti autonomi, ritenendo che fosse un elemento di civiltà del lavoro, da estendere quanto prima anche agli altri settori. E dare così attuazione al diritto di questi lavoratori all’equa retribuzione, così come stabilisce l’art. 36 della Costituzione.
Siamo quindi rimasti sconcertati per come sia stata data invece attuazione alla legge, in una Commissione da Lei presieduta, tramite due delibere che svuotano di fatto il diritto costituzionale all’equo compenso, violando lo spirito e la lettera della legge 233/2012. E non è solo una questione di tabelle retributive, ma anche di violazioni palesi del testo normativo, che all’articolo 1 prevede che l’equo compenso si debba riconoscere a tutti i “giornalisti non subordinati”, iscritti all’Albo. Invece sono state introdotte pesanti restrizioni alla platea cui avrebbe dovuto essere applicato.
Siamo poi rimasti sconcertati pure da alcuni Suoi commenti, collegati anche al decreto per i contributi all’editoria da Lei firmato (La Repubblica, 25 giugno 2014).
Ci sentiamo quindi in dovere di porLe pubblicamente, da giornalisti e da lavoratori autonomi interessati da questi provvedimenti, alcune domande:

1) Nell’intervista Lei afferma che “Equo compenso è una definizione sbagliata. Quella giusta è compenso minimo garantito. Prima gli articoli erano pagati da alcune aziende 5 euro e anche meno. Adesso il minimo è 20”. Ovviamente sono lordi. Il che, al netto, è quasi la metà, con le spese a carico. Lei ha mai scritto professionalmente un articolo? Lo sa quanto tempo di lavoro può esserci dietro 15-20 righe scritte da un collaboratore?

2) La delibera approvata prevede anche cifre come 6,25 euro lordi per una prestazione professionale per agenzie di stampa e web. La legge 233/2012 sull’equo compenso stabilisce che la remunerazione dev’essere “proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto” tenendo conto “della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria”. Quindi: ci può spiegare sulla base di quali criteri e calcoli oggettivi sono state definite quelle tabelle?

3) Crede che l’Unione Europea, tenuto conto dei provvedimenti presi da più organismi sulle questioni della libera informazione, sottopagata, apprezzerà le cifre e il presunto ragionamento in base al quale sono state stabilite?

4) Che le cifre della delibera siano dei minimi è chiaro. Ma gli editori che riconoscono compensi superiori ai “minimi” sono rari. In ogni caso il problema è che parliamo di un minimo ritenuto “equo” ai sensi di legge, inferiore anche a quello di una colf, che in media guadagna 10 euro l’ora. Effettivamente sarebbe sbagliato parlare di equo compenso. Ma allora che differenza c’è tra il minimo retributivo deliberato e l’equo compenso che avrebbe dovuto definire la Commissione istituita dalla legge?

5) La Legge n. 233/2012 afferma che viene emanata “in attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione”, il quale recita “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Secondo lei, è giusto parlare, come fa qualcuno, solo di aspettative negate, alla luce delle decisioni assunte?

6) La legge sull’equo compenso è nata anche per fissare un principio: la soglia di dignità al di sotto della quale è indecoroso ed insostenibile fare questa professione. C’è chi ha calcolato che, secondo gli standard tipici di lavoro di un freelance, con le tariffe approvate, lavorando 48 ore la settimana si verrebbe retribuiti circa 2,6 euro all’ora. Lordi. E con spese a carico. Invece, in Danimarca un freelance viene retribuito mediamente dai 30 ai 40 euro l’ora. E in Brasile 33 euro a cartella (a cartella, non a pezzo…). Non Le sembra che fissare per legge come “equo compenso” 6, 10 o 20 euro a pezzo significa legalizzare la sottoretribuzione? E che questo renderebbe anche più difficile rivendicare un diritto per via legale?

7) Prevedere negli accordi da Lei firmati dei salari d’ingresso a retribuzione ribassata, e “sconti” contributivi estesi anche ai contratti a tempo determinato, non Le sembra una rinuncia a legare gli aiuti agli editori alla creazione di nuova occupazione davvero stabile, e non sottopagata?

8) Sempre in riferimento al decreto sull’editoria, che prevede aiuti per l’assunzione di “giovani”: lo sa che la maggioranza dei giornalisti precari non è più “giovane”, ma ha in media un’età di 40 e più anni, con una professionalità ultraventennale?

9) Il costo aziendale lordo base di un giornalista dipendente con contratto Fieg-Fnsi oggi oscilla dai 38 ai 49 mila euro lordi l’anno. Ci spiega, allora, perché gli editori dovrebbero assumere dei redattori con contratto da dipendente, se potranno invece usare dei collaboratori che, per scrivere alcune centinaia di pezzi l’anno, verrebbero a costare meno di 6 mila?

 

10) Signor Sottosegretario, non conosciamo esattamente la Sua attuale retribuzione. Ma Lei, dopo anni di sfruttamento, accetterebbe di lavorare ancora con una retribuzione sottopagata rispetto agli inquadramenti contrattuali e, per giunta, a tempo determinato e con l’avallo del Governo? Come si sentirebbe?

Maurizio Bekar, Maria Giovanna Faiella, Laura Viggiano
Rappresentanti dei freelance nella Commissione nazionale contratto Fnsi”.