Una collega, che ringrazio, mi segnala questo interessante post sul sito della Ferpi: “Le Rp hanno vinto, il giornalismo di qualità è morto?“, che tratta un tema assai caro a questo blog, ma visto dall’altra parte della barricata. Le conclusioni? Le medesime: siamo fritti (e lo sono i lettori). L’assottigliarsi del confine tra informazione e comunicazione riduce i giornalisti ad assemblatori di notizie precotte. E così molti saltano il fosso, oppure si turano il naso.

Non c’è molto da aggiungere, se non alcune ma secondarie note sullo specifico italiano, a quanto sostenuto da Eric Reguly (vedi il link), corrispondente dall’Europea del quotidiano canadese “Globe and Mail” e con molte esperienze anche in altre testate internazionali, alla tavola rotonda promossa e organizzata da Ferpi nell’ambito del 62° Prix Italia su “Informazione e cultura nella network society: il ruolo delle Relazioni”.
Partendo dai risultati di una ricerca della Cardiff University secondo cui, in Inghilterra (ma il dato è verosimile anche per l’Italia) circa l’80% delle notizie riportate dai mainstream media provengono da fonti Rp, Reguly preconizza quanto in realtà è già in corso da tempo: il mestiere del giornalista sta prosciugandosi e la professione è sempre più ridotta a quella di un mero assemblatore, acritico o eterodiretto, di notizie confezionate altrove.
E’ quel fenomeno che, aggiungo io, passa anche con il nome di “operaizzazione del lavoro giornalistico”: un lavoro pletorico, mal pagato in quanto non bisognoso di conoscenze o capacità superiori (e viceversa), meramente esecutivo, stanziale, seriale. Insomma l’opposto di quel “mestieraccio” il cui primo strumento, si diceva una volta, erano le suole delle scarpe. Un lavoro in cui l’approfondimento, prima che non richiesto, è inutile e il cui prestigio sociale, credibilità, funzione sono drasticamente ridotti, prossimi allo zero.
Dei “bravi” (che spesso nel giornalismo fanno rima anche con esperti) nelle redazioni non c’è più bisogno. Basta e avanza il ricorso ai neogiornalisti (e talvolta nemmeno tali) spaesati, ignari dei “fondamentali” della professione, privi della nozione di ogni residuo diritto e della loro posizione o ruolo nella società, affogati in un ambiente frenetico in cui la concorrenza basata sul futile prevale sulla verità, il dubbio, la verifica.
Nihil sub sole novi, sia chiaro.
Ma il quadro è sempre più catastrofico, mentre solo adesso sindacati sonnacchiosi e cdr distratti sembrano accorgersi del fumus che li avvolge, con l’arrosto bello bruciato nel forno.
Graditi commenti e chiose.