Dal sempre interessante bollettino del Lsdi (qui), una notizia che sta tra il ridicolo (più che l’onirico) e il sepolcrale: in un prossimo futuro potrebbe essere il computer a raccogliere i dati direttamente in rete, elaborarli in notizie, titolarle, abbinarci un’immagine e “sputare” l’articolo. Domanda, però: i dati in rete chi li mette? Sono o non sono “notizie”?

Sarebbe una rivoluzione tale da mandare in soffitta due secoli di sociologia e di latente concorrenza tra l’uomo e la macchina capace di sostituirlo. Altro che congegni in grado di azzerare l’unicità artigianale e di trasformarla in serialità da operaio. Altro che macchinari che “rubano” il lavoro all’operaio, trasformandolo in operatore.
Siamo arrivati alla teoria (e ormai manca poco alla pratica) del giornalista-robot, ovvero del “giornalismo automatico”: quello in cui l’articolo non lo scrive un uomo, ma un programma che trangugia, rielabora, metabolizza ed “espelle” in un testo scritto i dati relativi a un dato evento e inseriti nel computer, abbinandoli a immagini reperiti nella solita rete.
L’idea venne un anno fa a un gruppo di studenti e di docenti della NorthWestern University, che battezzarono il progetto “News@seven” e cominciarono le sperimentazioni. Il principale ostacolo incontrato, raccontano le cronache, non era tanto la qualità dei servizi, ma la voce e la presenza dei conduttori-avatar, ritenuti poco efficaci e gradevoli.
E’ passato un anno e la Scuola di giornalismo di Medill, che fa sempre capo alla diabolica NorthWestern University, compie un ulteriore passo avanti sfornando adesso “Stats Monkey”, un programma pensato ad hoc per rastrellare sul web i dati delle partite di baseball, trasformarli in cronaca giornalistica, creare un titolo, abbinarci una foto e “uscire” col servizio.
I giornalisti? A casa. O al massimo a fare i programmatori, i sorveglianti del sistema. Insomma a non fare i giornalisti. Del resto, assicurano, la macchina si rivela spesso più “brava” di loro: l’articolo è pronto in pochi secondi, con l’aspetto di una mezza pagina di giornale tabloid. “Abbiamo realizzato articoli per molti incontri – spiega un docente, tale professor Hammond – e ci siamo accorti che erano un po’ meglio di quelli dei giornali”. Tra l’altro, oltre ai dati statistici, “Stats Monkey” può recuperare anche le dichiarazioni dei giocatori o degli allenatori. Concludendo, nota Hammond, l’ idea è di sviluppare il programma per coprire il nuoto e anche le attualità economiche, come i risultati delle aziende. Insomma “tutto quello che contiene dei dati numerici grezzi’.
Di primo acchito, roba da mettersi le mani nei capelli.
Ma subito dopo ti chiedi: e i dati non sono notizie? Non vanno controllati? E raccoglierli e controllarli non è comunque un lavoro giornalistico?
Poi fai passare altri cinque minuti e pensi, ancora più saggiamente, che per andare alla partita di serie A ti pagano dieci euro spese incluse (per le altre ci devi andare gratis e pure ringraziare dell’opportunità di poterne scrivere, o perfino di guardarle in tv), che nel miraggio di approdare a chissà quale (impossibile) assunzione ti sbatti per anni a seguire incontri insulsi in ogni condizione climatica, che per il sindacato sei trasparente, per i tifosi un cretino o un venduto, per il caposervizio un manovale, per tua madre uno scioperato.
E ti torna la voglia di tornare allo stadio da tifoso, mandando a quel paese il simulacro del “giornalismo” e lasciando le grane ai poveri avatar di turno.