Cosa è peggio: l’inutilità (vista la breve vita e la scarsa reperibilità del prodotto) delle guide oleicole o l’ignoranza che avvolge la materia (a causa della quale esiste una sola guida)? Se lo chiede Luigi Caricato sul suo blog. E me lo chiedo io. Con una proposta.

Lungi da me riaprire una questione, abusatissima e noiosissima, come quella delle guide vinicole. Giuste o sbagliate che siano, attendibili o meno, utili o futili, ci sono e basta, hanno da anni un loro consolidato mercato e, pertanto, anche una loro ragione d’essere.
Ma sul suo blog Olio Officina, l’amico e collega Luigi Caricato se ne esce oggi con un post (qui) davvero stuzzicante: quello delle guide dell’olio.
E, in sintesi, dice: non mi piace l’idea delle guide oleicole, perché sono seriali, ma soprattutto non ne capisco il senso, perché l’olio è un prodotto che ha una vita breve, non ha la facile reperibilità (né la rapidità di consumo, aggiungo io) del vino. Eppure, insiste, non so se la cosa peggiore siano i limiti oggettivi di tali pubblicazioni o il fatto che, in un paese di grande tradizione olivicola e anche molto guidaiolo come l’Italia, degli extravergine esista una sola guida, quella curata da Marco Oreggia (io ne parlo qui). Sintomo, conclude Luigi, di un deserto culturale in materia che fa rabbrividire anche d’agosto: lo spazio editoriale per scriverne ci sarebbe, ma nessuno lo fa.
Dunque?
Il discorso è in effetti intrigante.
Chi sono gli ignoranti: gli scrittori, che non realizzano guide dell’olio, oppure i lettori, che non sono commercialmente interessati ad acquistarle, o il grande pubblico, i consumatori insomma, che in generale sapendone già poco che fare dell’olio, ancora meno saprebbero farsene di un’altra guida dedicata all’argomento?
Ammetto di essere in difficoltà a rispondere.
Non posso negare che trovo molto interessante la guida Flos Olei di Marco Oreggia, ma devo anche riconoscere che io sono un addetto ai lavori, non un consumatore “normale”. E che in effetti le modalità di consumo dell’extravergine mal si sposano con l’utilità pratica, diretta, manualistica di una guida.
Provo allora a rovesciare il problema.
E a chiedere: qual è lo strumento migliore per (ri)diffondere in Italia una cultura dell’olio in parte andata perduta con la nascita dell’industria alimentare e in parte mai esistita neppure nelle nostre ruvide tradizioni rurali? Come espandere un “saper d’olio” oggi ristretto a un numero effettivamente ristrettissimo di persone?
Mi pare evidente, visto che ci si gira intorno ormai da decenni, senza mai trovare il bandolo della matassa, che la via libresca (sia essa in forma di guida o di pubblicazioni divulgative) è perdente. Ad essa assimilerei anche quella solo apparentemente più efficace, e invece parimenti noiosa e fallimentare, della via “visiva” (video, dvd, etc). Indubbiamente migliore, ma lenta e costosa, la via “pratica” delle degustazioni e del contatto diretto col prodotto.
Eppure, mai come nel caso dell’extravergine, si potrebbe leonardescamente dire che “la sapienza è figliola dell’esperienza”.
Né si vede come l’enorme patrimonio di cultivar, tipologie, tecniche, gusti e tradizioni olivicole nostrane possa sopravvivere senza che esista un numero di consumatori sufficiente a giustificarne e soprattutto a sostenerne economicamente, con il consumo, l’esistenza.
Forse allora bisognerebbe scrivere un’altra guida: guida al salvataggio dell’olivicoltura italiana.
Si attendono candidati.