Ieri applausi alla Camusso e tiepida sitting ovation per il favoritissimo alla segreteria, Raffaele Lorusso. A Chianciano la politica correntizia e le sue liturgie dominano il congresso di un’Fnsi sempre incapace però di intercettare la “professione reale”.

Ci eravamo lasciati con l’interminabile dibattito congressuale, i conciliaboli di corridoio e l’ambizioso, ma inattuato, tema ufficiale del XXVII congresso della Federazione Nazionale della Stampa Italiana che si chiude oggi a Chianciano: “Giornalismo attore di futuro nel tempo di Multimedialità, Crossmedialità, Transmedialità; per il lavoro, i diritti e l’autonomia dai poteri.”
Visto che il venerdì è il giorno del voto, alla luce di quanto accaduto ieri possiamo dire che il tema è stato in parte, ma a tutti gli effetti, disertato: di multi/cross/transmedialità ieri non si è proprio parlato.
E sì che il vostro cronista non si è mai allontanato dalla piccionaia a picco sul palco della presidenza nella quale si era appollaiato (#opefnsi).
Si è parlato invece del resto, “il lavoro, i diritti e l’autonomia dai poteri”. Con risultati alterni.
Come già accennato, assistere a un congresso del sindacato è un’esperienza che qualsiasi giornalista, nell’arco della propria carriera, dovrebbe fare. Utile sia dal punto di vista professionale che umano. Lacrime e calcolo, strategia e slancio, ingenuità e cinismo, illusione e disincanto si interecciano in uno spettacolo che continuamente oscilla tra la commedia e la tragedia. Con talune escursioni nella farsa, sebbene i problemi sul tappeto siano serissimi, e nella noia più mortale.
Che, rispetto a giovedì, si cominciasse a fare sul serio ieri lo si coglieva da vari sintomi: il tono degli interventi, la loro brevità e la rinuncia di molti (con scongiuramento della temuta “sessione notturna”), le riunioni transcorrentizie con relativi esodi da una saletta a un’altra, alcuni espliciti scambi di attacchi politici e anche il fatto che il nome del neosegretario in pectore, il pugliese Raffaele Lorusso, abbia cominciato a essere pronunciato esplicitamente anche da parte di molti degli intervenuti. Quando però è toccato a lui a parlare, il discorso è stato tiepidino e la reazione della platea altrettanto: solo una sitting ovation. Un segnale?
Comunque sia, i fatti salienti della giornata sono stati due.
L’arrivo, annunciato, del segretario della Cgil Susanna Camusso, accolta tra ali di una folla plaudente di giornalisti (alla faccia dell’indipendenza della categoria) e salutata con un applauso che Lorusso se l’era sognato, e l’annuncio del deposito in tribunale, da parte di un gruppo di delegati, del ricorso contro il contratto di categoria sottoscritto a giugno 2014 dalla giunta uscente. Un contratto discusso e discutibile (anche da parte di chi scrive), ma spesso evocato qui a Chianciano come uno dei grandi risultati della gestione Siddi. “Per la prima volta nella storia del giornalismo in Italia, il contratto nazionale di lavoro è stato impugnato in tribunale da un gruppo di giornalisti e di delegati al XXVII congresso nazionale della Fnsi. I ricorrenti chiedono di sospendere nell’immediato e poi annullare gli effetti di un contratto che danneggia gravemente la categoria e viola lo statuto della Federazione, come avvenuto nel corso delle trattative con gli editori”, si legge nel comunicato. Apparentemente imperturbabili i presunti responsabili, ma a pensarci bene è normale: ormai il contratto c’è, probabilmente sarà rifatto (in tal senso si era espresso il neopresidente della Fieg, Maurizio Costa, l’altroieri) e comunque saranno grane dell’eligendo neosegretario.
Sul piano che più ci interessava – ovvero la verifica dello stato di consapevolezza, nel sindacato e nei suoi rappresentanti, del fatto che dentro al calderone dei cosiddetti “autonomi” (corrispondenti a un teorico 62% della popolazione giornalistica italiana) stanno in realtà situazioni e categorie tanto diverse da necessitare di inquadramenti diversi e rappresentanze diverse – il bilancio è sconfortante.
Tranne casi rarissimi, l’idea che gli “atipici” restino una massa imponente ma irrilevante di figure mezzingole, delle quali solo per ragioni di consenso e di numeri il sindacato deve farsi, suo malgrado, carico, fermo restando che la Federazione è nata per occuparsi di “altro”, resta scolpita tanto nella mente dei sindacalisti d’alto rango quanto in quella dei diretti interessati, la gran parte dei quali annaspa spesso nel mare magno della semiprofessionalità.
Di contro, da nessuna delle voci levatesi a favore di un sindacato orientato sul giornalismo professionale mi è parso di udire l’esigenza o l’opportunità di coinvolgere nel progetto certe fasce di “atipici” fortemente professionalizzate come appunto i liberi professionisti. Insomma, tutto come previsto.
Del resto, secondo i miei calcoli, del famoso 62% un quarto sono precari, cioè titolari di contratti a termine, un quarto sono parasubordinati e cioè dipendenti di fatto (abusivi, cococo, false partite iva), nove ventesimi sono dilettanti (collaboratori occasionali, pubblicisti vecchio stile, imbucati nell’odg, vecchie glorie, hobbisti e volontari) e solo un ventesimo sono freelance veri e propri. Numericamente, e quindi politicamente, un’inezia, sebbene poi, per fatturato, si mangino da soli la metà degli altri “autonomi”.
Vabbè, l’esperienza è finita e le conferme che si attendevano si sono avute.
Ora aspettiamo il nome del segretario e ricominciamo la nostra battaglia per il pluralismo sindacale dei giornalisti.
Già, perchè il “sindacato unico e unitario” della categoria ne raccoglie a malapena il 20%. Il restante 80% non è iscritto e, quindi è privo di qualsiasi tutela sindacale. Un motivo ci sarà pure. Ma l’Fnsi da un lato non si fa domande, dall’altro non trova risposte e da un altro ancora ostacola la nascita di qualsiasi altro “concorrente”.
Il risultato è la specularità assoluta tra la federazione e la cittadina che ha ospitato l’assise: tristi e semideserte.