di STEFANO TESI
Orpicchio, Abrostine, Lacrima Forte, Morellone: sono alcune delle 550 varietà che la sede aretina del CREA (Consiglio Ricerca e Economia Agraria), diretta da Paolo Storchi, ha recuperato, ripropagato e (talvolta) rivinificato. Ci hanno invitato ad assaggiarne un po’. Ecco com’è andata.

 

Si fa un gran parlare, spesso a sproposito, delle eccellenze italiane. Ma poi scopri che ce le hai sotto il naso e non te n’eri mai accorto.
E’ il caso dell’articolazione aretina, diretta da Paolo Storchi, del Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ente ministeriale spalmato su dodici sedi, di cui sei “vinicole”, in tutta la penisola). Nomi, quello dell’ente e del direttore, ben noti agli addetti ai lavori, ma quasi sconosciuti al grande pubblico. Forse perché non se la tirano. O forse perché si trovano in una parte di Toscana ritenuta meno nobile ed altisonante di altre.
Eppure si tratta di un’istituzione ultracentenaria (nacque nel 1903 come “Regio Istituto”) e, soprattutto, attivissima sia nella ricerca d’avanguardia applicata alla viticoltura, sia nella conservazione della biodiversità. E’ infatti titolare della più grande collezione italiana di vitigni antichi e rari: a Pratantico, alle porte della città, sono sei gli ettari di vivaio gestiti direttamente, con oltre 550 “accessioni” tra cloni, vitigni e perfino viti silvestri recuperate nei boschi: “Vengono principalmente dall’Italia centrale e meridionale”, dice Storchi”. “Le ultime sono arrivate da zone sperdute attorno a Montegabbione d’Orvieto, in Umbria. Abbiamo poi la più grande collezione al mondo di Sangiovese: 158 biotipi, provenienti anche dalla Corsica e inclusi i 47 della collezione di Pierluigi Talenti di Montalcino nonché i due, ribattezzati BR come le iniziali del Barone di Ferro, individuati anni fa a Brolio su viti centenarie”. Ogni filare ha un pannello QRCode e NCF che consente, avvicinandosi con lo smartphone, di scaricare liberamente tutte le informazioni, incluso il profilo genetico di ogni singola varietà. “La collezione fa parte di un progetto italiano di ambito Fao sul recupero e la conservazione delle risorse genetiche”, precisa il direttore.
Passi in rassegna i cataloghi e scopri nomi di varietà sconosciute dai nomi folkloristici, che sembrano emerse da una viticoltura da Albero degli Zoccoli.
Ma siccome per giornalisti e appassionati la curiosità di conoscere “di che sapevano” i vini ricavati da quelle uve oscure era forte, nel giugno Paolo Storchi ha pensato bene di organizzare ad hoc per i soci di Aset (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana) e pochi altri amici una degustazione di alcune delle microvinificazioni fatte dall’istituto e di altri vini prodotti da aziende commerciali con alcune di quelle varietà antiche.
Occasione ghiotta in cui, con altri fortunati colleghi, mi sono tuffato.
Ecco cosa ne è venuto fuori.

 

Orpicchio 2015, da microvinificazione Crea.
Varietà bianca coltivata nel Valdarno Superiore fino alla metà dell’900, poco vigorosa, piuttosto precoce. Giallo paglierino con riflessi verdastri, profumo piuttosto intenso di fiori bianchi, buon frutto, in bocca è altrettanto intenso, piacevole e lungo. Una tipologia certamente interessante in chiave reinterpretativa.

Nocchianello Bianco 2015, da microvinificazione Crea.
Recuperato nella zona di Pitigliano, dov’era quasi scomparso a metà degli anni ’60, è un vitigno geneticamente vicino al Trebbiano toscano, ma meno produttivo e piuttosto tardivo. Di colore dorato e brillante, al naso ha uno spiccato sentore di pietra focaia e agrumi, mentre in bocca è pieno, sapido, quasi piccante.

Nocchianello Nero 2015, Sasso Tondo (Sovana, GR).
Sempre da Pitigliano, ma quasi introvabile, assai localizzato e scarsamente documentato, è una varietà molto vigorosa e piuttosto resistente. Di colore rubino-granato, ha un naso fragrante con note spiccate di ciliegia e spezie, mentre in bocca è robusto, pepato, ricco di tannini e accenni di mora selvatica.

Foglia Tonda 2014, Primo di Leo (Reggello, FI).
Vitigno secondario per tutto l’800 molto diffuso (fino al 10% della superficie) nel Chianti senese, nel 2000 si era ridotto in tutta la Toscana a soli 3,1 ettari. Più precoce del Sangiovese e piuttosto resistente alle malattie, dà vini robusti e ricchi di colore. Il nostro era rubino molto intenso, con un naso rotondo di frutta matura e una bocca alcoolica, piena, piuttosto tannica.

Vermentino Nero 2013, Pepe Nero, az. agr Castel del Piano (Licciana Nardi, MS)
Di origini oscure e diffuso principalmente tra Toscana e Liguria, oggi in meno di 100 ettari, è incostante e difficile da coltivare. Il vino è di colore rubino medio, al naso risulta piuttosto intenso e caratteristico, mediamente fruttato, mentre in bocca è gentile, con un piacevole e marcato finale amarognolo.

Morellone 2016, da microvinificazione Crea.
Vitigno “da colore” già diffuso dal Casentino alla Maremma e riscoperto in vecchi vigneti nell’area di Bibbiena (AR), è iscritto da poco nel Registro Nazionale e in attesa di iscrizione tra gli idonei della Regione Toscana. Stretto parente del Sangiovese, dà un vino di colore scurissimo, quasi impenetrabile, con un naso intenso di verde e di vegetale, mentre in bocca, oltre all’elevato tannino, si rivela compatto, con vaghe note di frutta.

Abrostine 2015, da microvinificazione Crea.
Considerato, per la sua rarità, un “vitigno-reliquia”, si trova solo in ristrette aree della provincia di Firenze. Varietà rustica, piuttosto tardiva, usata per tagli “da colore”. In purezza si rivela di un rubino scurissimo, con un interessante e ricco naso screziato di note di cacao, mentre in bocca risulta fresco, piacevole, molto equilibrato.

Lacrima Forte 2013, da microvinificazione Crea.
Varietà tardiva e resistente alle malattie, rintracciabile ormai solo in vecchi vigneti del Valdarno, ove era coltivato specialmente in fondovalle. Geneticamente autonomo da altre “lacrime”, dà un vino di colore rubino medio-intenso, un naso con discreti profumi e una bocca ricca, quasi spigolosa, con tannini in evidenza.

Arcano 2012, Congregazione di Camaldoli.
Un vero peccato che questa bottiglia, prodotta dai monaci camaldolesi per celebrare il millenario della loro fondazione seguendo i metodi duecenteschi e utilizzando le uve di ben 40 antichi vitigni casentinesi (Ingannacane, Sapaiola, etc), fosse a sua volta una reliquia, ovvero esemplare unico rimasto troppo tempo in condizioni di luce e temperatura inadatte e rivelatosi, perciò, non degustabile.

 

Su richiesta, i laboratori e il vivaio del Crea di Arezzo sono liberamente visitabili. Info qui.

 

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