Il richiamo tutto nasale di Paolo Panelli e gli occhialoni spessi dalla montatura anni’ 70 è ciò che meglio ricordo (oltre a celebri canzoni come “Dada Umpa“, ovviamente) di Bruno Canfora, il direttore d’orchestra scomparso ieri a 92 anni.
Lo ammetto, lo avevo perso di vista da almeno quarant’anni ed anzi ero convinto che fosse morto da un pezzo.
Era uno di quei personaggi che hanno riempito la fanciullezza in bianco e nero degli ultracinquantenni di oggi, quando le giornate erano scandite dai programmi tv e le settimane dalle puntate di Canzonissima.
Il buffo, per me ma credo per molti altri, è che la familiarità con Canfora si interruppe bruscamente quando, passato all’adolescenza, tutta la musica ascoltata in precedenza e fino ad allora ritenuta piacevole, quotidiana e orecchiabile fu buttata alle ortiche come ciarpame, sostituita dal r’n’r e dai suoi colori, dimenticata.
Solo molto dopo, a mente sgombra e più equanime, il talento di musicisti come Canfora tornò evidente ai miei occhi e alle mie orecchie, finalmente capaci di contestualizzare, porre in relazione, leggere fra le note.
La stessa qualità che, nello spettacolo leggero, oggi non è difficile cogliere in quella tv d’annata.
Bruno Canfora è stato, a quanto ricordo, uno dei primi direttori d’orchestra televisivi a uscire dal ruolo e a prestarsi a fare da spalla ai comici-conduttori degli show, dal citato Panelli a Walter Chiari a Raimondo Vianello. Li guardava ammiccante, di tre quarti, con un sorrisetto compiacente sotto i baffoni.
Canforaaaa…